Posti nel Lazio da visitare: Santuario della Dea Fortuna Primigenia Palestrina
Molti tra i più celebri studiosi rinascimentali, scrutando i pochi resti antichi che si potevano vedere tra le povere casupole di Palestrina, si erano ingegnati a immaginare quale forma avesse in origine il tempio che si sapeva essere della Fortuna Primigenia. Ricostruzioni ideali di Giuliano da Sangallo o del Palladio liberavano la fantasia ad immaginare i più colossali edifici, secondo le geometrie di un gigantesco neoclassicismo.
Durante la seconda guerra mondiale, i pesanti bombardamenti americani liberarono in più punti le incrostazioni e mostrarono per la prima volta in tutto il suo splendore il tempio per come era stato ideato e costruito. Sicuramente uno tra i posti nel Lazio da visitare assolutamente.
Quella che è venuta alla luce è una imponente costruzione che, già nel IV secolo, occupava l’intero colle. Un intrigante sistema di terrazze saliva per gradi sino alla sommità, in cui si trovava il tempio più interno, e ogni tappa del viaggio ascensionale era segnata da vari livelli. C’erano scalinate, rampe, stazioni. Tutto il complesso aveva l’aspetto di un sistema geometrico costruito in asse col tempio più alto e con la statua del culto supremo. Appariva come un quadro che qualcuno ha definito “ideologico”. Volendo rimarcarne gli aspetti di celebrazione del potere divino attribuito al contatto con l’energia generatrice dell’uomo.
Una meraviglia architettonica
La terrazza degli Emicicli, quella dei Fornici, quella delle Fontane, quella della Cortina erano altrettante tappe del sacro itinerario. Sino alla sommità, dove, sul culmine del colle, si levava il tempio vero e proprio della Fortuna Primigenia. Era un luogo essenzialmente oracolare. In una grotta naturale ai primi livelli della salita, all’estremità della parete addossata al suolo, è stato trovato uno spazio impreziosito di colonne scanalate e con i resti di un pavimento musivo. È l’Antro delle Sorti, in cui l’oracolo emetteva i suoi responsi. Questi, altre volte, secondo Cicerone, venivano ottenuti, per così dire, alla maniera nordica. Si interpretavano cioè le sortes, lettere incise su pezzetti di legno che venivano estratte dalla roccia e interpretate.
E il sacello costruito sul luogo in cui si operò questo oracolo era ritenuto particolarmente sacro.
Poco distante, dietro l’abside del Duomo attuale, là dove un tempo sorgeva la basilica di epoca repubblicana, ecco comparire l’aula absidata. Anch’essa in parte scavata nella roccia e dotata di ricca decorazione architettonica. Qui fu rinvenuto il famoso mosaico detto del Nilo, risalente all’80 avanti Cristo, che oggi si conserva al Museo. Questo capolavoro contiene una specie di mappa geografica dell’Egitto e un vero bestiario esotico. Ma, ciò che più interessa, è che è stato messo in relazione con le mutazioni della Fortuna e con il viaggio fatto da Alessandro Magno in Egitto, quando rese onore a Giove Ammone. Una presenza, questa di Giove, che era anche a Praeneste sin dagli inizi, dato che – secondo Tito Livio – Cincinnato. Quest’ultimo conquistò la città alla fine del IV secolo, portando a Roma come preda di guerra proprio una statua di Giove Vincitore, posizionandola sul Campidoglio.
Il culto della dea della Fortuna
Il culto alla Fortuna è uno dei più antichi su suolo italiano. In esso si intrecciavano motivi legati sia alla fertilità che alle potenze oracolari. Esiste la prova che nel santuario prenestino il culto ufficiale alla Fortuna era gestito dai patres e dai sacerdoti virili, mentre quello femminile legato alla fecondità era appannaggio di collegi di matres. Questa duplice vocazione del tempio è stata riconosciuta dagli studiosi come prova di un sincretismo che, per la verità, era assai diffuso a Roma. Lo stesso abbinamento che è stato fatto tra la Fortuna e Iside, cui in epoca ellenistica anche a Praeneste veniva reso onore, non è che un’ennesima riprova della capacità pagana di unificare in concetti organici anche ispirazioni diverse. Le fonti antiche affermano che esistevano due statue della Dea Fortuna. Ve ne erano infatti una di bronzo dorato e una di marmo bianco, nella posa di allattare Giove e Giunone bambini. La presenza di Giove all’interno di un tempio dedicato alla Fortuna non sembra essere, dunque, una contraddizione tra significati della sovranità e quelli della maternità. Anzi, era proprio luoghi come questo che nell’antichità. Sicuramente uno tra i posti nel Lazio da visitare assolutamente.
Si intendeva celebrare ad un tempo tanto il potere sovrano che l’origine della vita. Si fondeva in un unico culto la gerarchia uranica della potenza e quella tellurica della genealogia.
Alla celebre iconografia della Fortuna recante la cornucopia dell’abbondanza si affianca quella, che era ricorrente specialmente sulle monete, di una duplice Dea. Una era vestita con la corona sul capo, l’altra a seno nudo con un elmo sulla testa. Del resto, sulla più alta terrazza, là dove, secondo Cicerone, l’olivo avrebbe secerto miracolosamente del miele. In quel punto preciso si trovava la statua guerriera della Fortuna, posta ad un gradino più elevato di quella materna del santuario situato livello inferiore. Rappresentazione ben chiara che questo santuario riuniva in sé tutti i valori principali della vita, celebrando alla maniera pagana e in modo uniforme tanto la virilità quanto la femminilità.
L’importanza della Dea Fortuna negli antichi
Alcuni studiosi hanno poi rimarcato l’importanza della Dea Fortuna nell’ambito delle credenze italico-latine più arcaiche. Hanno sottolineato come i loro più profondi attributi fossero quelli legati al primordiale potere di assicurare la fecondità e riproduzione della discendenza. La speciale tutela sulla nascita e sulle sue arcane provenienze era l’aspetto principale. Questo era assicurato dal dettaglio rivelatore che la Dea Fortuna la si diceva avere potere di protezione sul corpo e, particolare, sugli organi genitali.
Una divinità della genealogia, della trasmissione del sangue, della nascita? È proprio questo che deve intendersi sotto denominazione di Fortuna Primigenia. Era infatti intimamente legata, in altre parole, al concetto di “buona nascita originaria”. Questa era, dunque, per i nostri antichi padri la vera “fortuna primigenia”: avere buona razza, essere di ceppo sano e legato all’origine.
È tra le pieghe di monumenti e luoghi che fanno parte del nostro panorama quotidiano, e dei quali, di solito, trascuriamo di ricordare i più profondi significati, che si nascondono alcune verità essenziali della nostra civiltà. Per dire, andare oggi a Palestrina a visitare il tempio della Dea Fortuna significa inevitabilmente ammirare il palazzo della famosa famiglia papalina dei Colonna-Barberini. Fu costruito nella zona più alta dell’antico santuario che come un cuculo si è posato sul nido di una religione più antica e diversa, occultandone oggi l’intimo senso. Ma i simboli parlano, a chi sa intenderli, anche se offuscati dalle manomissioni e dalla dimenticanza.
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Palestrina, la città a forma di Tempio
Arrampicata sulle pendici del monte Ginestro con i suoi terrazzamenti scenografici Palestrina è una città in forma di tempio. Un sistema architettonico straordinario che guarda all’oriente ellenistico e compone una sinfonia costruttiva intorno alle antiche sorti prenestine.
“Gli annali di Preneste raccontano che Numerio Suffustio, uomo onesto e bennato, ricevette in frequenti sogni, all’ultimo anche minacciosi, l’ordine di spaccare una roccia in una determinata località. Atterrito da queste visioni, nonostante che i suoi concittadini lo deridessero, si accinse a fare quel lavoro. Dalla roccia infranta caddero giù delle sorti incise in legno di quercia, con segni di scrittura antica. Quel luogo è oggi circondato da un recinto, in segno di venerazione , presso il tempio di Giove bambino. Questo, effigiato ancora lattante, seduto insieme con Giunone in grembo alla dea Fortuna mentre ne ricerca la mammella, è adorato con grande devozione dalle madri.”
(Cicerone, De Divinatione)
Lo fa organizzando gli spazi in scalee monumentali e prospettiche su sistemi di arcate e sostruzioni artificiali articolando la sequenza in un crescendo rossiniano fin su al tempietto circolare: sancta sanctorum del santuario.
Tuttavia non era lì che erano custodite le celebri sorti, ma probabilmente sulla terrazza degli emicicli, sotto un’edicoletta sacra:
I riferimenti degli antichi
“ (…) e dicono che in quel medesimo tempo, là dove ora si trova il Tempio Della Fortuna, fluì miele da un olivo, e gli aruspici dissero che quelle sorti avrebbero goduto grande fama. E per loro ordine col legno di quell’olivo fu fabbricata un’urna, e lì furono riposte le sorti, le quali oggidì vengono estratte, si dice, per ispirazione della dea Fortuna .”
(Cicerone, De Divinatione).
La statua della Fortuna era invece nella parte più alta del tempio. E’ probabile che la dea si presentasse nel suo simulacro di bronzo dorato con un aspetto di divinità guerriera e giovanile. Era contrapposto a quello di divinità materna e primigenia del santuario inferiore. Questa duplicità di aspetto della dea ne rivela la doppiezza del carattere, del culto nonché della struttura del santuario. Ai suoi piedi non giaceva il celebre pavimento musivo che oggi si ammira nel Museo come per altro si era portati fino a poco tempo fa a credere.
Un mosaico a tessere finissime di straordinaria fattura e raffinatezza.
Una grande carta prospettica dell’inondazione del Nilo con tutto il suo carico di implicazioni simboliche. La sua collocazione era nella parte inferiore del Santuario, in quella sala absidata che oggi si considera un Iseo. Il sincretismo egittizzante aveva contaminato la Iside, in un Isityche, ossia un Iside-Fortuna. Una complessità della sua forma cultuale che nulla toglie alla malia del luogo e alla sua carica estetica e seduttiva.
“Ma sarebbe ingiusto non parlare di Palestrina, del tempio più famoso e con la sua gradinata a teatro, infine meglio conservato. E’ un monumento celebre fin dall’antichità, il tempio della Fortuna, e fu studiato nel Rinascimento, ed ora è risorto, dall’ultima guerra mondiale che non mancò di penderlo di mira. E c’è quel mirabile mosaico col paesaggio nilotico, che è tutta una festa vederlo, coi suoi colori smorzati e lucenti”
Il Lazio è un percorso ritrovato con oggetti unici, custoditi in luoghi altrettanto unici.
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